Non più “una voce nel deserto” – Interris.it

È di fondamentale importanza la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha confermato il riconoscimento della Comunità Papa Giovanni XXIII come parte civile lesa in un processo per tratta di esseri umani. Si tratta di una conferma delle sentenze di condanna dei due gradi precedenti, come stabilito dalla Corte di Assise di Frosinone.

L’importanza risiede nel fatto che da oggi nel nostro ordinamento viene riconosciuta una comunità o un’associazione come parte lesa. Un evento che testimonia che siamo in uno stato di diritto, nel quale un gruppo di cittadini può schierarsi fattivamente dalla parte dei più poveri, degli sfruttati, degli schiavizzati e dar loro voce. Non più una “voce nel deserto”, dunque, ma una voce che viene recepita dalle istituzioni e diventa norma.

Ritengo incoraggiante che questa sentenza della Suprema Corte arrivi proprio in un momento in cui si sta diffondendo a macchia d’olio la nostra campagna Questo è il mio Corpo. Proprio ieri il progetto è stato rilanciato nel corso del Convegno Cisl di Brescia, durante il quale è stato particolarmente toccante ed efficace l’intervento di don Aldo Buonaiuto.

La Cisl, fin dal suo Congresso Confederale del giugno scorso, ha deciso di sposare l’iniziativa e la risposta è stata molto forte. Ma anche altre associazioni, laiche e cattoliche, stanno prendendo coscienza del dramma della tratta e della necessità di stroncare questo turpe fenomeno proponendo ai loro aderenti di firmare la nostra petizione.

Questo diffuso sostegno alla campagna e la sentenza della Corte di Cassazione rappresentano un implicito riconoscimento alla battaglia che ha combattuto il nostro fondatore, don Oreste Benzi, a partire dal 1990. Tra poche settimane ricorderemo i dieci anni della sua scomparsa.

Ciò che lui predicava nelle strade, oggi si sta avverando. Per rendere onore ai fatti, intendo rivolgere un pensiero a tutti i ragazzi della Apg23 che sono impegnati nelle strade per liberare le ragazze schiavizzate, poi alla squadra di legali che le difendono a livello giuridico: oggi ricordo l’avv. Annalisa Chiodoni, che ha seguito questo sentenza.

Il nostro lavoro sta producendo frutti. Possiamo dire che stiamo incidendo a favore di queste ragazze a livello culturale, sociale e ora anche normativo. Stiamo scardinando le stanze dei bottoni nel quale aleggia l’idea errata per cui la ragazza prostituita non è vittima bensì la persona da condannare.

Ci aspettiamo ora, che la politica recepisca il messaggio. Accogliamo con favore l’ordinanza del sindaco di Firenze, Dario Nardella, sperando che sempre più colleghi possano seguire il suo esempio. È opportuno che il modello nordico si faccia strada anche in Parlamento. E sottolineo che puntare sulla deterrenza non vuole essere una condanna verso i clienti, bensì un modo per aiutare anche loro.