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LIBERTÀ DI PROSTITUIRSI. CHI CONSIGLIEREBBE QUESTO LAVORO AI PROPRI CARI?

14/03/2019 Sollievo per la decisione della Corte Costituzionale che con grande buon senso, di elevata dirittura morale e di profonda fondatezza giuridica ha respinto l’ipotesi che in fondo fare la escort “sia una professione come un’altra”. Comprando l’uso del corpo di una persona, anche consenziente, la si riduce comunque in schiavitù e si tradisce la tutela della dignità umana.

Rispetto al dibattito sulla prostituzione recentemente innescato sull’identità professionale delle cosiddette “escort”;  fortunatamente la Corte Costituzionale ha preso una decisione di grande buon senso, di elevata dirittura morale e di profonda fondatezza giuridica, respingendo l’ipotesi che in fondo “sia una professione come un’altra”. Tuttavia proprio la possibilità che si sia innescato tale dibattito è un ulteriore sconfortante esempio di un malinconico e crepuscolare arretramento della contemporaneità rispetto alla tutela della dignità delle persone. Usare denaro per sfruttare il corpo di un’altra persona per il proprio piacere sessuale, definizione brutale ma precisa dell’azione che fa il “cliente/consumatore”, rappresenta infatti un evidente tradimento della tutela della dignità della persona, dignità che non può non trovare dimora anche nella concreta corporeità di ogni persona. Ma comprando un corpo si tradisce anche la verità della relazione sessuale, che può essere la forma più pura e trasparente di dono e di reciprocità, e che proprio nella sua “non commercializzazione” trova la sua più completa bellezza. “Fare l’amore” non può diventare “comprare sesso”; è talmente evidente la corruzione della pienezza dell’incontro sessuale quando si mette mano al portafoglio…

Quando si fa l’amore, l’abbraccio è un gesto di donazione, è desiderio di essere una cosa sola, è contatto pieno con la bellezza dell’altro; quando “compro il corpo dell’altro per fare sesso”, sto consumando un prodotto, sto solo dando risposta ad un mio bisogno, e l’altro non è più persona, ma è semplicemente un oggetto funzionale alle mie pulsioni, ai miei istinti. Non si tratta nemmeno di “desiderio”, in questo caso, perché il desiderio fa alzare lo sguardo verso il cielo, per andare verso le stelle (“de sidera”),  per cercare risposta ad una evidente incompletezza di sé  nell’incontro con la libertà di un altro, con la bellezza del creato, con una nuova relazione con la realtà, oltre i propri limiti. Invece chi “compra sesso” si limita a riempire un vuoto, ritornando narcisisticamente su se stesso. E in questo caso l’ultima cosa che guardo, che voglio, che compro è il volto dell’altro, i suoi occhi (nella saggezza popolare “lo specchio dell’anima”…); invece quando “faccio l’amore” il volto e gli sguardi della persona amata sono un’altra delle porte che mi conducono al mistero dell’altro.

Da queste qualità antropologiche, da queste evidenze dell’umano dovrebbe derivare senza troppe difficoltà un giudizio morale lineare e non ambiguo: si comprano le cose, non le persone. Non si può comprare l’uso del corpo di un’altra persona per soddisfare la propria sessualità: rendi l’altro un oggetto, uno strumento, asservendolo ai tuoi impulsi. Lo rendi schiavo, in una parola: anche se per i pochi minuti di un rapporto sessuale comprato con pochi o tanti denari. Spesso approfittando, per di più, di persone che di quei soldi hanno bisogno, e di cui invece tu ti puoi privare.

Ma oggi le riflessioni morali sembrano costantemente graduate verso il basso, in una corsa apparentemente infinita alla libertà assoluta: così, l’unico criterio giuridicamente rilevante su cui sembra di poter discutere diventa la maggiore o libertà di chi vuole vendere il proprio corpo, fino a parlare addirittura di “violazione dei principi costituzionali della libertà di intrapresa economica”. Proponendo, però, nello stesso tempo, anche la cancellazione del reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Come se il nostro Paese diventasse più civile (addirittura più “imprenditoriale”!) perché si può vendere e comprare il corpo di una persona per scopi sessuali! Davvero queste sono le nuove frontiere di un Paese civile? E quanti, più o meno esplicitamente, pensano anche: “Almeno ci facciamo pagare le tasse!”, come se qualche Euro in più  di soldi pubblici rendesse meno immorale questo comportamento. E pensare che nel nostro Paese – regola di altissima civiltà – è proibito vendere gli organi, “pezzi del proprio corpo”, che invece possono essere “donati”; proprio perché il corpo fa parte integrante della persona, e quindi ne qualifica la dignità. Ma invece, se si tratta di sessualità, il corpo della persona sembra perdere il suo senso e significato, e diventa un merce qualsiasi: davvero triste (oltre che intollerabile), se ci si pensa.

A forza di “minima immoralia” continueremo a calpestare la dignità delle persone e dei loro corpi, e in più ci racconteremo che questa è una battaglia di civiltà, perché stiamo dando a ciascuno la possibilità di scegliere liberamente cosa fare del proprio corpo. E non ci si rende conto del prezzo che deve pagare proprio chi “vende”, in termini di dignità. Ma chi ci crede davvero che vendere se stessi per fare sesso al migliore offerente sia libertà? O peggio ancora: chi consiglierebbe ai propri cari questa “professione”?

* direttore del Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia)

Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani – Ass. Papa Giovanni XXIII

SAVE THE DATE

8 e 9 febbraio, eventi a Roma, Verona, Piacenza, Genova

L’8 febbraio ricorre la Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umanipromossa dalla rete Talitha Kum ed istituita da papa Francesco in memoria di Santa Bakhita, schiava sudanese di 7 anni, divenuta poi suora canossiana e proclamata Santa nel 2000.La Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) aderisce all’iniziativa e promuove eventi di sensibilizzazione a Roma, Verona, Genova e Piacenza: 

8 febbraio – Roma, Basilica di S.Antonio, via Merulana 134 – ore 18 
Adesione alla veglia di preghiera organizzata da Thalita Kum con testimonianze degli operatori di strada Apg23.

8 febbraio – Verona, Tempio Votivo – ore 16.45 
Veglia di preghiera e sensibilizzazione con la presenza del Patriarca di Venezia Mons. Francesco Moraglia ed i vescovi di Verona, Vicenza, Adria-Rovigo, Trento. Aderiscono Caritas ed Azione Cattolica del Triveneto. Fra le testimonianze, parla un cliente del sesso a pagamento.  Volantino 

8 febbraio – Genova, Chiesa di Santa Maria di Castello – ore 18 
Serata di sensibilizzazione per le vittime di tratta con proiezione del docufilm “HOW MUCH?…”. Alle 19.30 Santa Messa celebrata dal Vescovo Niccolò Anselmi.

9 febbraio – Piacenza, corso V. Emanuele – ore 16.45 
Fiaccolata e performance artistiche, con la testimonianza di Don Mario Zacchin che in carcere ha incontrato clienti condannati per l’omicidio di donne vittime di tratta; conclude la Santa Messa celebrata dal Vescovo Gianni Ambrosio.

Ufficio stampa: Marco Tassinari, 328.1187801

Pescara, Montesilvano e Francavilla: 15 ragazze salvate in 4 anni – il Centro.it

«Nessuna donna nasce prostituta, c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare». Pier Giovanni (nome di fantasia), uno degli addetti della comunità Papa Giovanni XXIII, si affida alle parole del…

«Nessuna donna nasce prostituta, c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare». Pier Giovanni (nome di fantasia), uno degli addetti della comunità Papa Giovanni XXIII, si affida alle parole del fondatore, don Oresti Benzi, per spiegare ciò che vive sulla sua pelle. Con altre persone, uomini e donne, incontra di sera le prostitute e una comunità di transessuali che lavorano tra Pescara, Montesilvano e Francavilla, per convincere chi si prostituisce a tornare ad una vita normale. Lo fa da 4 anni e in questo periodo hanno lasciato il marciapiedi «una quindicina di ragazze, tra nigeriane, romene e bulgare»: sono andate in comunità, dove «imparano l’italiano e un lavoro vero, oltre ad ottenere un supporto psicologico». Oppure sono tornate nel paese di origine, «come accaduto a una spagnola incinta che voleva abortire e poi ha tenuto il bambino, oppure a una romena che si è confessata per la prima volta dopo essere rientrata a casa». Sono quasi tutte giovanissime, racconta Pier Giovanni, «qualcuna è minorenne, anche se non lo dicono. E non ammettono di essere sfruttate anche se, stando in strada, notiamo alcune auto che passano e ripassano, per controllarle. E vediamo che si allontanano dopo aver ricevuto delle telefonate. A volte sono sfruttate dal marito e non riescono a liberarsi». Arrivano e restano in strada per motivi diversi tra cui anche «l’ignoranza, la povertà, la paura delle conseguenze di riti vodoo in base ai quali possono abbandonare la strada senza subire conseguenze negative solo pagando cifre consistenti». Le unità di strada, usando un approccio «laico», provano a convincerle a lasciare «il marciapiedi e anche l’alcol e la droga a cui ricorrono». E le reazioni? «Da noi si sentono trattate alla pari, apprezzano la nostra amicizia». (f.bu.)

Side event a Ginevra sul modello nordico contro la prostituzione

A Ginevra si svolge in questi giorni la 38a sessione del Consiglio dei diritti Umani e il nostro ufficio ha messo in cantiere diverse attività. Il 22 giugno abbiamo organizzato un incontro nel palazzo dell’ONU per creare attenzione sulla relazione che esiste tra traffico di esseri umani ed il mercato della prostituzione. Abbiamo cercato di spiegare e discutere il cosiddetto Modello Nordico.

Cos’è il modello nordico?

È un modello di legge nazionale che persegue il contrasto alla prostituzione e al traffico di esseri umani attraverso il principio di punibilità del cliente che acquista una prestazione sessuale a pagamento. Il cliente, considerato complice e motore dello sfruttamento della donna e della sua riduzione in schiavitù, viene punito con una multa o con altra sanzione penale mentre alla donna che si prostituisce vengono offerti precorsi di reinserimento sociale che le permettano di uscire dalla prostituzione.

Il modello Nordico, che prevede la punibilità del cliente che chiede prestazioni sessuali a pagamento, è stato per la prima volta introdotto in Svezia nel 1999 e recentemente anche da Francia e Irlanda.

Tra gli speakers del nostro evento abbiamo invitato Karin Bolin,  rappresentante della missione permanente della Svezia che ha spiegato come una legge adottata quasi 20 anni fa abbia portato i propri frutti nel Paese, introducendo una cultura di rispetto della donna, riducendo la violenza nei confronti delle donne ed eliminando la tratta degli esseri umani.

È poi intervenuto Francois Gave, rappresentante della missione permanente della Francia che nel 2016 ha adottato il medesimo modello nordico e che ha spiegato come la Francia oltre a punire il cliente, prevede anche dei programmi di reinserimento sociale delle ragazze e donne che vogliono abbandonare la prostituzione.

C’è stata anche la testimonianza di Katia Vitaggio, un’operatrice delle nostre unità di strada che ha portato la voce della Comunità e di don Benzi, spiegando come anche in Italia, con la campagna “Questo è il mio Corpo”, stiamo proponendo questo modello di punibilità del cliente ed ha poi introdotto la testimonianza diretta di una ragazza nigeriana, accolta nelle nostre case, che ha raccontato dell’orrore subito, ma anche della bellezza di avere un’altra opportunità per ricostruirsi una vita e ricominciare.

L’evento si è concluso con l’intervento di una rappresentante di CAP International che ha delineato in modo esemplare la connessione tra il business che la prostituzione genera ed il traffico degli esseri umani.

Il breve dibattito che ne è seguito con l’intervento dei delegati di alcuni Paesi presenti (San Marino, Nuova Zelanda e  Nigeria) ci hanno dato una prova dell’importanza di diffondere questo modello e della necessità di un dibattito serio sul tema.

Lo stesso Papa Francesco, nella sua omelia a Santa Marta di venerdì 15 giugno 2018, ha ricordato a tutti – ma soprattutto ai cristiani – quante donne “disprezzate, emarginate, sfruttate” vivono ancora accanto a noi e come la “dottrina di Gesù sulla donna cambia la storia”.

La strada è però ancora lunga e occorre intensificare gli sforzi a tutti i livelli per promuovere concretamente la liberazione di tutte le ragazze e donne assoggettate a questa terribile forma di schiavitù.

Fabio Agostoni – ufficio Apg23 a Ginevra

02/07/2018

La tratta. Liberate dai riti «voodoo», nigeriane ancora vittime dei clienti (italiani)

La massima autorità di uno Stato nigeriano ha vietato le pratiche che vincolano le ragazze ai trafficanti. L’Italia avrà coraggio per liberarle davvero, punendo chi le compra per strada?

Il grande ‘Oba’ (‘re’) Ewuare II dell’Edo State, in Nigeria, ha ufficialmente vietato i riti voodoo che vincolano le donne vittime della tratta a pagare il debito contratto con i trafficanti di esseri umani o con le madam che gestiscono il mercato delle ragazze sulle strade italiane. Le ha liberate da un incubo. Questa notizia può sembrare poca cosa, in realtà ha portato un forte vento di speranza, capace di ribaltare in gioia la paura e il terrore dello sfruttamento o la disperazione per le violenze subite da migliaia di giovani nigeriane fatte transitare nel nostro e in altri Paesi del mondo ai fini della prostituzione coatta. La costante richiesta di sesso a pagamento anche sulle strade italiane in questi anni ha fruttato ingenti guadagni a trafficanti e maman. Per questo la notizia ha fatto esultare le vittime portate in Italia con l’inganno e le organizzazioni impegnate nella lotta contro la tratta. Migliaia di giovani donne dopo aver vissuto l’umiliazione e lo sfruttamento del loro giovane corpo ora possono pensare di sentirsi libere di vivere la loro giovinezza e guardare al futuro senza timori di ritorsioni su di loro e sulle famiglie.

Questa novità importante mi ha fatta ritornare con la mente a qualche anno fa, al mese di luglio del 2007, quando a Benin City, capitale dell’Edo State, ci fu l’apertura ufficiale e solenne di una bellissima casa di accoglienza per donne vittime di tratta che ritornavano a casa, sia perché espulse dall’Italia in quanto prive di documenti, sia perché loro stesse chiedevano di poter ritornare con dignità. La struttura, con 18 posti letto, fu costruita grazie ai fondi dell’8 per 1.000 della Cei e gestita da religiose locali, anche loro desiderose di collaborare per aiutare le giovani ad evitare l’esodo verso il miraggio dell’Europa, come pure a riaccoglierle dopo la triste esperienza dello sfruttamento sessuale fatta in Italia, in modo che potessero riprendersi in mano la loro vita e il loro futuro. Il legame con le suore nigeriane risale al 2000, quando le invitammo in Italia per tre settimane affinché si rendessero conto di dove andavano a finire le giovani del loro Paese. Le vidi piangere sulle strade di notte osservando come erano ridotte le ragazze che fino a poco tempo prima erano piene di vita nelle loro scuole e parrocchie.

Da allora si è creata una fitta collaborazione: noi abbiamo incominciato a rimandare a casa in Nigeria le giovani distrutte dall’esperienza sulla strada e rovinate psicologicamente dai riti ‘voodoo’, pratiche di magia nera ad opera del witch craft doctor, lo ‘stregone’. Il fatto è che pur volendo tornare a casa, quelle ragazze avevano paura di essere rifiutate dalle famiglie, ossessionate dai riti voodoo per non aver pagato integralmente il grosso debito contratto con lo ‘stregone’ connivente con i trafficanti e con le maman, cioè le nigeriane che gestiscono il business della prostituzione. Le vittime sono sempre giovanissime, costrette a mettersi in mostra sul ciglio delle nostre strade per adescare clienti che dovrebbero essere ben coscienti di avere a che fare con delle schiave. Durante i giorni della nostra permanenza a Benin City abbiamo chiesto di incontrare il grande Oba e le sue 4 mogli. Sono state loro a rendere possibile l’incontro, sia perché desideravano omaggiare il loro Oba, sia perché volevano metterlo al corrente di questo problema dilagante. Gli abbiamo raccontato della triste situazione di migliaia di giovani donne provenienti in gran parte proprio dall’Edo State, trafficate e sfruttate spesso da donne africane che chiedevano una somma di 50-70 mila euro per poterle liberare dai riti voodoo cui le avevano costrette.

Eravamo ben coscienti del fatto che le madam che tornavano in Nigeria per le loro visite, ostentando grandi ricchezze e portando omaggi al grande Oba per chiedere la sua benedizione, lo facevano sulla pelle delle giovani sfruttate. Doni che grondavano sangue. L’Oba era rimasto colpito dalla nostra presentazione, ma si è limitato a sottolineare che anche da parte nostra c’era complicità perché gli uomini italiani compravano i corpi delle vittime. Aveva ragione. Al grande Oba, già anziano, è poi succeduto il figlio Ewuare II, figura molto autorevole che ha ricoperto l’incarico di ambasciatore della Nigeria in Angola, Svezia e Italia e ha lavorato anche alle Nazioni Unite. Fin dal suo insediamento nel 2016 ha collaborato con il governatore dell’Edo State e con l’agenzia locale contro la tratta di persone, il Naptip. La sua recente presa di posizione riguardo all’abolizione dei riti voodoo per punire coloro che volessero usare questi metodi per guadagnare soldi è stato un atto coraggioso. Durante una grande cerimonia ha liberato tutte le vittime di questi giuramenti tradizionali da qualsiasi coercizione. L’effetto è stato dirompente: tutte le nostre ragazze hanno chiesto se è vero che non dovranno più pagare il terribile debito. E hanno esultato alla risposta affermativa: finalmente sono libere.

Purtroppo negli ultimi cinque anni a causa della crescente domanda da parte di clienti italiani, dei moltissimi arrivi via mare e del crescente numero di richiedenti asilo politico la situazione sulle nostre strade si è aggravata. Attualmente le cifre della tratta di ragazze nigeriane sono esplose: solo negli ultimi 24 mesi ne sono sbarcate sulle nostre coste 15.600, tutte giovanissime, analfabete e spesso incinte. Vorrei lanciare una sfida provocatoria. Per bloccare l’esodo delle donne dalla Nigeria verso l’Europa, dove sono costrette a vivere in schiavitù, l’Oba ha infatti emanato una legge che punirà severamente coloro che non l’adempiranno, siano essi gli ‘stregoni’ con i loro riti intimidatori, come pure le madame che lucrano su migliaia di tante giovani messe sulle strade per essere usate come merce, usa e getta. E a questo punto mi domando: quando sarà il giorno in cui il governo di un Paese di cultura cattolica come il nostro affronterà seriamente il problema della prostituzione con una legislazione adeguata, capace cioè di considerare ‘reato’ la richiesta di sesso a pagamento, come è già stato fatto, con buoni risultati, in alcuni Paesi europei? Come possiamo parlare di un Paese civile ed emancipato quando sulle nostre strade vengono usate, abusate e distrutte, di giorno e di notte tra le 70 e le 100 mila giovani straniere?

Papa Francesco, parlando lunedì 19 marzo a un gruppo di 300 giovani provenienti da tutto il mondo per offrire il loro contributo alla preparazione del Sinodo dei giovani, ha ascoltato la testimonianza di una giovane nigeriana che si chiedeva: «Caro Papa, quello che più mi inquieta è proprio la domanda, i troppi clienti e molti di questi sono cattolici. Mi chiedo e ti chiedo: ma la Chiesa, ancora troppo maschilista, è in grado di interrogarsi con verità su questa alta domanda dei clienti?». Purtroppo questa terribile piaga non solo distrugge il nostro tessuto sociale, ma pure le nostre famiglie e i nostri giovani. Non serve nascondere la prostituzione nelle case chiuse o nei supermercati del sesso a pagamento per sanare una società malata ed egocentrista. Solo salvaguardando la dignità di ogni persona creata a immagine di Dio e non trattata come merce potremo creare una società che abolisce ogni forma di schiavitù, per sentirci e riconoscerci membri della grande famiglia umana voluta da Dio.

Missionaria della Consolata e presidente dell’Associazione «Slaves no more – Mai più schiave»

“La giudice” per le donne sfruttate – Interris.it

Il magistrato Paola Di Nicola: “Servono nuovi strumenti giuridici”

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a il magistrato da più di 20 anni ed è membro del Comitato per le pari opportunitàpresso il consiglio giudiziario di Roma. Con il libro “La giudice. Una donna in magistratura“, la marchigiana Paola Di Nicola, giudice del Tribunale penale di Roma, ha acceso il dibattito sul ruolo delle donne tra i togati, e così nel 2013 è stata nominata Wo-Men Inspiring Europe 2014 per il suo impegno contro gli stereotipi di genere. Nel 2015 ha anche pubblicato con Vittoria Bonfanti “I reati in materia di prostituzione“. C’era anche lei in Ambasciata di Svezia all’iniziativa sul modello svedese a confronto con la legislazione italiana in materia di prostituzione tenutasi mercoledì scorso a Roma. Presenti anche l’Udi di Napoli, l’Associazione nazionale donne magistrati, Unchr, Slaves no more, Comunità Papa Giovanni XXIII, Iroke onlus, Differenza donna.

Anche lei sostiene il “modello nordico” nato in Svezia, che prevede la punibilità del cliente delle donne prostitute che dal ’99 ad oggi sono diminuite in maniera vorticosa. La legge – come riportato dal Cancelliere della Giustizia svedese Anna Skarhed – oggi ha come sostenitori tutti i parlamentari. Gli effetti si sono visti nella trasformazione della cultura e dei valori della società svedese grazie a interventi decisivi delle forze di polizia in rete con tutti i soggetti istituzionali e del privato sociale e ad un processo di educazione dei giovani: diminuzione di violenze di genere, di prostituzione online, di femminicidi.

“Anche i giudici senza una legge nazionale hanno le mani legate! Per questo è molto importante per noi magistrati italiani confrontarci col modello svedese” ha spiegato.

Ma questo modello centrato sulla parità di genere è possibile nel Bel Paese?

“Noi siamo il Paese delle case chiuse volute da Cavour nella metà dell’800 per i militari. Perché gli uomini dovevano sfogarsi. E quando Lina Merlin, prima senatrice donna in Italia, negli anni ’50 si mise in ascolto delle centinaia di lettere a lei indirizzate dalle donne chiuse nei nostri bordelli capì che si trovava di fronte a schiave. Erano donne che non avevano diritti civili, che avevano un libretto dove annotare i controlli sanitari. Solo le donne erano controllate perché i clienti non prendessero malattie… La legge Merlin colpì sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Ma oggi non basta più… Va rivista sulla base della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la violenza alle donne. Perché il problema del nostro Paese è prima di tutto la cultura che favorisce la disparità di genere”.

Crede che i nostri politici oggi possano guardare con favore ad una legge che come in Francia sanzioni chi acquista prestazioni sessuali?

“Se pensiamo che secondo l’Istat un terzo delle donne subisce violenza e ciononostante la violenza contro le donne non è una priorità, capiamo che prima di tutto non viene affrontata in termini culturali.
Addirittura la violenza appartiene alla naturalità dei rapporti. Così è ancor più per la prostituzione. E’ normale comprare il corpo della donna. Siamo molto lontani dal modello svedese. Ancora oggi la prostituzione è costruita a servizio del cliente. Chiusi i bordelli, si ritiene che vada regolata. Non c’è nella nostra cultura l’idea che possa essere eliminata. Perché il punto di vista è quello del cliente non della donna. Perché la nostra società è permeata dall’idea che il corpo delle donne è un corpo a disposizione di chi lo vuole”.

Quante sono le donne che escono dalla tratta e dallo sfruttamento sessuale, e quando denunciano davvero si riesce ad arrivare all’arresto di trafficanti e sfruttatori?

“Ho chiesto al Procuratore nazionale antimafia i dati della tratta. Ma mi ha risposto che non ci sono dati certi. Non sono calcolati perché non interessa a nessuno quante sono le vittime dello sfruttamento della prostituzione. E purtroppo, nonostante tante associazioni sono impegnate nella protezione di chi sfugge ai suoi sfruttatori, spesso nei tribunali non le vediamo. Non vediamo le vittime perché hanno paura e anche quando denunciano la lunghezza dei processi non aiuta ad arrivare fino in fondo. Le vittime non si costituiscono parte civile. Tutto il contesto in cui vivono copre la verità. Le stesse organizzazioni criminali che gestiscono lo sfruttamento della prostituzione ormai sappiamo che sono infiltrate nelle nostre regioni… È molto difficile arrivare all’applicazione della pena”.

Cosa direbbe alle giovani vittime, spesso minorenni, che sono addestrate dai magnaccia a non fidarsi delle forze dell’ordine, a dichiarare la maggiore età e specie negli attuali flussi dall’Africa subsahariana sono prelevate dai centri di accoglienza emergenziali.

“Dico sempre di fidarsi degli enti antitratta che le accolgono, di affidarsi a legali che non solo le possono sostenere nella denuncia di sfruttamento della prostituzione o di riduzione in schiavitù ma anche di omissione per quei centri di accoglienza quando non sono identificate come minori per inadempienza… Se sono minori, anche il cliente può essere punito per il delitto di prostituzione minorile… Ma in materia di prostituzione tutto è difficile, anche quando noi giudici applichiamo la legge Merlin dandole una interpretazione evolutiva, può sempre intervenire la Corte di cassazione a favore del cliente. Abbiamo bisogno di più strumenti giuridici per tutelare la dignità delle donne. E ognuna di loro avrebbe bisogno di un risarcimento per quello che ha vissuto”.

IRENE CIAMBEZI

Commemorazione per Arietta Mata

Una toccante commemorazione si è tenuta nella giornata di sabato scorso per Arietta Mata, la 24enne uccisa a Gaggio. L’iniziativa è stata organizzata dalla comunità Papa Giovanni XIII: all’evento…

Una toccante commemorazione si è tenuta nella giornata di sabato scorso per Arietta Mata, la 24enne uccisa a Gaggio. L’iniziativa è stata organizzata dalla comunità Papa Giovanni XIII: all’evento erano presenti le amministrazioni comunali di Castelfranco e San Cesario, i volontari della Protezione Civile, Carabinieri e Polizia Municipale e il vicario del vescovo Giuliano Gazzetti.

 

I 60 anni della Legge Merlin. Da aggiornare pensando alla tratta – VITA.IT

Per Giovanni Paolo Ramonda (Apg23): «Occorre introdurre sanzioni non solo verso i trafficanti, ma anche verso i clienti delle prostitute, perché con il loro comportamento sfruttano la vulnerabilità delle persone che si prostituiscono» La Comunità Papa Giovanni XXIII è tra i promotori della campagna “Questo è il mio Corpo” che conta oltre 28mila adesioni

Sono passati 60 anni dall’approvazione della Legge Merlin, la norma grazie alla quale l’Italia ha detto addio alle “case chiuse”. In occasione dell’anniversario dell’approvazione, il 20 febbraio del 1958 della legge 75, Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII osserva: «La legge Merlin va aggiornata alla luce del nuovo contesto sociale, ma sempre nella stessa direzione di tutela delle persone, in particolare delle donne. La situazione attuale non è più quella degli anni ’50, bensì è legata alla tratta di persone provenienti da paesi poveri e ridotte in schiavitù» e rilancia: «Occorre introdurre sanzioni non solo verso i trafficanti, ma anche verso i clienti delle prostitute, perché con il loro comportamento sfruttano la vulnerabilità delle persone che si prostituiscono. I clienti sbagliano! E per questo vanno sanzionati. Anche per aiutarli a cambiare. Diceva la Merlin: “Questo Paese di viriloni che passan per gli uomini più dotati del mondo e poi non riescono a conquistare una donna da soli”».

In una nota della Comunità Papa Giovanni XXIII si ricorda anche che “la Legge, ancora in vigore, non vieta la prostituzione in sé, ma chi la favorisce e la sfrutta”. La senatrice Merlin impiegò dieci anni per riuscire a far approvare la legge che chiuse le case di prostituzione.

La senatrice Merlin impiegò dieci anni per riuscire a far approvare la legge che chiuse le case di prostituzione. Dieci anni fa in 14 Paesi europei è entrata in vigore la Convenzione del Consiglio d’Europa contro la tratta di esseri umani che prevede tra l’altro la possibilità di perseguire i clienti. Sempre nel 2008, Roberto Gerali, allora referente del Servizio Antitratta della Comunità Papa Giovanni XXIII, aveva dichiarato in occasione del cinquantennale della legge Merlin: «L’articolo 3 della legge riguarda i reati di favoreggiamento della prostituzione. Molti politici vorrebbero eliminarli, mentre noi vogliamo che siano specificati ancora meglio!».

Oggi, Ramonda osserva inoltre che: «torna in campagna elettorale l’idea di riaprire le case chiuse. Si vuole colpire l’emotività dell’opinione pubblica, ma questa è una proposta vecchia, superata, obsoleta. In Olanda, ad Amsterdam, in Germania, dove da decenni ci sono bordelli regolamentati, stanno facendo marcia indietro. Perché» spiega il presidente della Papa Giovanni XXIII «sia il mercato legale che quello illegale sono in mano al racket. La prostituzione corrompe una società intera, perché distrugge la dignità della donna».

Il sessantesimo della Legge Merlin è l’occasione per ricordare l’iniziativa “Questo è il mio Corpo” che la Comunità Papa Giovanni XXIII promuove, insieme a un cartello di associazioni (tra cui Cisl, Agesci, Azione Cattolica, Forum Famiglie, Rinnovamento dello Spirito). Si tratta di una campagna di liberazione per le vittime della tratta e della prostituzione (è possibile firmare la petizione che conta oltre 28mila adesioni qui). La proposta, si ispira al modello nordico e ha l’obiettivo di ridurre sensibilmente il fenomeno colpendo la domanda e multando i clienti delle prostitute.

Mai più case chiuse. La legge Merlin è da rafforzare – AVVENIRE

La Legge Merlin compie sessant’anni, eppure, a dispetto dell’età, riesce ancora a far parlare di sé. È certamente una delle leggi più note del nostro ordinament.

La Legge Merlin compie sessant’anni, eppure, a dispetto dell’età, riesce ancora a far parlare di sé. È certamente una delle leggi più note del nostro ordinamento, benché poco oggi si ricordi delle condizioni di vita delle donne che vivevano dentro le “case chiuse”. La Legge 75 fu approvata il 20 febbraio 1958 e sei mesi dopo vennero chiuse le «case di prostituzione». Essa non vieta la prostituzione in sé, ma chi la favorisce e la sfrutta. In particolare vieta «l’esercizio di case di prostituzione», come pure «quartieri e qualsiasi luogo chiuso dove si esercita la prostituzione»; punisce con la reclusione chi recluta, induce, favorisce o sfrutta «la prostituzione altrui».

Negli anni 50 del Novecento le donne che si prostituivano erano circa tremila, distribuite in oltre 700 case. Provenivano dalle aree rurali più povere d’Italia, erano tutte schedate, come una sorta di marchio che impediva loro la possibilità di rifarsi una vita. Inoltre questo marchio veniva ereditato anche dai figli, i quali erano discriminati non potendo accedere ad alcuni lavori. Da qui tra l’altro deriva l’offesa sui “figli di” ancora in voga oggi. Dovevano garantire un certo numero di rapporti sessuali quotidiani, con orari incalzanti. Le testimonianze delle prostitute colpivano per la miseria e per la durezza delle loro condizioni di vita. La senatrice Merlin conosceva bene la situazione in cui vivevano le «signorine», tanto che parlava apertamente della prostituzione come di una «schiavitù legalizzata della donna».

Ma Angelina Merlin, detta Lina, era davvero una donna dal carattere fuori del comune. Socialista, collaboratrice di Giacomo Matteotti, arrestata e mandata al confino durante il fascismo; partigiana durante la Resistenza, fu catturata dai nazisti, ma scappò. Fondò l’Unione delle donne italiane, principale sigla femminista del nostro Paese. Deputata all’Assemblea Costituente; a lei si deve l’introduzione dell’espressione «Tutti i cittadini… sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso…» nell’articolo 3, ponendo la base giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna. Fu anche la prima donna a essere eletta in Senato. Appena entrata in Parlamento, nel 1948, presentò il suo disegno di legge per l’abolizione delle case chiuse, che fu approvato dopo dieci anni di lotte. Anni in cui non solo venne attaccata dai molti uomini italiani, ma anche presa nei corridoi delle stesse aule parlamentari. Dopo che la legge fu approvata, fu talmente osteggiata nel suo stesso partito da non essere neppure ricandidata alle successive elezioni politiche. È rimasta famosa una sua massima rilasciata in un’intervista a una giovane Oriana Fallaci: «Ah! Questo Paese di viriloni che passan per gli uomini più dotati del mondo e poi non riescono a conquistare una donna da soli!».

Oggi il contesto sociale è notevolmente cambiato. A partire dagli anni 90, lo sviluppo dei flussi migratori da alcuni Paesi africani e dell’Est europeo ha reso “disponibile” una massa di donne giovanissime, anche minorenni, in condizioni di estrema vulnerabilità, consentendo alle organizzazioni criminali di gestire un mercato della prostituzione pervasivo e diversificato. Ed è esploso il fenomeno della prostituzione su strada. La prostituzione moderna fa rima con tratta di esseri umani, violenza, riduzione in schiavitù. A causa di questi cambiamenti, la Legge Merlin non risulta dunque più efficace per il raggiungimento del suo obiettivo di emancipazione della donna. Qualcuno vorrebbe riformarla abrogando il divieto che grava sull’«esercizio di case di prostituzione»,
Proprio per questo è bene dire chiaro che la proposta delle “case chiuse” oltre che profondamente ingiusta è vecchia, superata, obsoleta.

In Olanda, ad Amsterdam, in Germania, dove da decenni le “case chiuse” ci sono, stanno facendo marcia indietro: sia il mercato legale che quello illegale sono in mano al racket. Non è vero poi che le donne “pagano i contributi allo Stato”, ma il punto non è neppure questo. La prostituzione corrompe una società intera, perché distrugge la dignità della donna. La Legge Merlin va aggiornata alla luce del nuovo contesto sociale, ma sempre nella stessa direzione di tutela delle persone, in particolare delle donne. Per questo occorre ridurre sensibilmente il fenomeno colpendo anche la “domanda” e multando i “clienti”, che cooperano in modo

decisivo con violentatori e sfruttatori alla compravendita di corpi umani.

*responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII