ORDINANZA ANTIPROSTITUZIONE. CARCERE PER IL CLIENTE E SEGNALAZIONE AL FISCO – NewsRimini – 20/11/2017

E’ stata pubblicata pochi minuti fa sull’Albo pretorio del Comune di Rimini l’ordinanza contingibile ed urgente per prevenire e contrastare lo sfruttamento della prostituzione sulla pubblica via, firmata dal sindaco. La nuova ordinanza, in vigore dall’11 Dicembre 2017 e fino al 30 Aprile 2018, prevede l’arresto del cliente, fino a tre mesi, e la segnalazione all’agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza. L’ordinanza è sulla falsa riga di quella di Firenze.

A gran voce, anche il Vescovo Francesco, in occasione dell’incontro con le autorità avvenuto a San Gaudenzo, aveva chiesto un intervento incisivo da parte dell’amministrazione per arginare la terribile realtà di tante ragazze costrette a prostituirsi in strada.

L’ordinanza prevede che è fatto divieto a chiunque di porre in essere comportamenti diretti in modo non equivoco a chiedere o accettare prestazioni sessuali a pagamento. Il divieto ha validità nelle zone dove è più presente il fenomeno, tra i lungomari e la statale ma non solo. Nello specifico: in Viale Regina Elena, Viale Regina Margherita, Viale Principe di Piemonte, Via Cavalieri di Vittorio Veneto, Via Losanna, Via Guglielmo Marconi, Via Novara, Via Macanno, Via Casalecchio, Via Fantoni, Via Emilia Vecchia, Via XIII settembre, Viale Matteotti, Via dei Mille, Via Tolemaide; su tutta la Strada Statale ”S.S. 16”- compresa tra il confine con il Comune di Bellaria-Igea Marina e il Comune di Riccione; in Piazzale Cesare Battisti, Via Savonarola, Via Mameli, Via Ravegnani, Via Graziani, Via Dardanelli, Piazzale Carso, Via Principe Amedeo; Via Varisco, in Viale Eritrea, nonche nelle aree adiacenti alle suddette strade o in prossimità delle aree di intersezione con le stesse vie elencate.

La violazione di quanto disposto dall’ordinanza sarà perseguita ai sensi dell’art. 650 del Codice Penale con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro, fatto salvo che la condotta non configuri un più grave reato.

L’ordinanza dispone anche che qualunque fatto o atto ritenuto rilevante ai fini fiscali, riscontrato dall’agente accertatore, nell’ambito dell’attività di controllo e di accertamento sarà portato a conoscenza all’Agenzia delle Entrate, nonché al Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Rimini, al fine di consentire la valutazione, da parte di tali organi, in merito agli accertamenti fiscali di competenza.

Redazione Newsrimini

Corriere.it «Come sono finita sul marciapiede (e come mi sono salvata)»: la storia di Rachel Moran, ex prostituta

“Come sei finita sul marciapiede?». E’ la prima domanda (ed è sempre la stessa) che la gente rivolge alle donne prostitute o ex prostitute. Succede anche a Rachel Moran, 41enne irlandese autrice del libro «Stupro a pagamento (la verità sulla prostituzione)», pubblicato due anni fa all’estero e arrivato ora in Italia, edito dalla casa editrice Round Robin. Moran è una giornalista affermata, una scrittrice, un’attivista per i diritti delle donne che subiscono la tratta. E’ anche un’ex prostituta: a 15 anni è finita sul marciapiede ed è riuscita ad uscirne solo a 22, grazie all’aiuto di una parente. Questi sette anni sono il cuore del libro, che è sia un’autobiografia che un saggio sulla prostituzione. «L’ho scritto per due ragioni – racconta al Corriere della Sera – volevo raccontare la verità ma anche rispondere ai tanti luoghi comuni che la società ha su questo tema». Non è stato semplice, lo scrive nel libro e lo conferma a voce: per concluderlo ci ha messo dieci anni.
La proposta

Non è facile, per cominciare, rispondere alla domanda iniziale. Sulla strada è finita perché il suo ragazzo dell’epoca glielo ha proposto e lei ha accettato. Ma c’è una catena di eventi, cominciata molto prima, che l’ha portata a dire sì. E’ cominciata alla sua nascita: Moran è nata e cresciuta in una famiglia in cui entrambi i genitori avevano problemi psichiatrici (la mamma era considerata schizofrenica, il papà soffriva di attacchi maniacodepressivi). Sia lei che i suoi fratelli e sorelle si sono sempre considerati al di fuori della sfera della normalità, in un certo senso separati dal mondo reale. Dopo il suicidio di suo padre, la giovane (all’epoca 14enne) iniziò a litigare con la madre che la sbattè fuori di casa. Iniziò così a girare tra ostelli e centri per i senzatetto. Ma anche fra panchine, parchi, cespugli, bagni dei locali: ovunque potesse dormire, anche solo per poche decine di minuti.

Sul marciapiede

Così arriviamo a quel «sì»: era l’agosto del 1991, Moran aveva 15 anni e dormiva con il suo ragazzo (con il quale stava insieme da meno di una settimana: 21 anni, senzatetto anche lui) nella casa di uno degli amici di lui a pochi minuti di strada da Benburb Street, una via di Dublino dove esercitavano le prostitute. Lui le ha proposto di iniziare a prostituirsi e lei, come scrive nel libro, pensò di essere «abbastanza forte da riuscirci: metterebbe fine al girovagare, al non sapere mai dove coricarmi, alla bramosia costante per quel poco di cibo o per una sigaretta». Nel giro di un’ora era già sul marciapiede, di ritorno dal suo primo cliente.

Gli stereotipi da abbattere

E’ stata obbligata a farlo? No. Però – come scrive lei stessa – il concetto di «adulti consenzienti» (uno degli stereotipi che molti ancora hanno sul tema della prostituzione) è un controsenso: «Non è possibile dare il primo consenso a uno stile di vita che non comprendi. In secondo luogo, molto delle donne prostituite non sono adulte». Capitolo dopo capitolo, Moran ne smantella molti altri: il mito della prostituta d’alto bordo che sarebbe più simile ad una cortigiana che a una prostituta di strada, quello della «puttana felice» che ha scelto lei stessa di diventarlo, quello del piacere sessuale (che si prova sì, ammette, ma «una volta ogni morte di papa»), quello del potere che la prostituta riuscirebbe a esercitare sui suoi clienti. Cliché che, se ancora esistono, è perché «purtroppo siamo inclini a credere a cose che sappiamo benissimo non essere vere. Sono sicura che gli stessi attivisti che si battono a favore di quelle che definiscono «lavoratrici del sesso» non vorrebbero vedere le loro compagne, madri o figlie nei bordelli», argomenta Moran oggi. E ribadisce: «Per me dire che la prostituzione è liberazione è un controsenso: è invece, ricordiamolo, una forma di sfruttamento».

Il rischio della «glamourizzazione»

La scrittrice, nel suo libro, non nasconde nulla. Racconta di quando, alle quattro del mattina, era ancora sulla strada e il suo corpo veniva usato ogni notte da un numero compreso tra i sei e i dodici uomini. Di quando si è trovata oggetto di foto pornografiche, di quando si è spostata dalla strada ai bordelli a quando è finita a fare la escort. Della sua esperienza da spogliarellista: di come non sia «una specie di divertimento innocuo» perché «non è né divertente né innocuo quando il cuore ti batte all’impazzata in mezzo a una folla di 50 o 60 uomini ubriachi, che sbraitano tutti volgarità e oscenità, mentre tu sei lì a sfilarti di dosso gli unici strati esistenti che ti separano da loro – i tuoi vestiti». Il problema, sostiene nel libro e ribadisce al Corriere della Sera, è proprio questo: la tentazione di dare una patina elegante e raffinata a ciò che ha a che fare con la prostituzione. «Letteratura e cinema spesso presentano la prostituzione come un fenomeno glamour. Un esempio? Il film «Pretty Woman». E’ una tendenza pericolosa in un mondo in cui, invece, dovremmo combattere per sradicare questo mercato, anche e soprattutto dal punto di vista legislativo».

Le leggi per combattere la prostituzione

Per lei il modello giusto è quello nordico: votato in Svezia nel 1999 e adottato negli anni successivi anche da altri Paesi (dalla Francia all’Irlanda passando per il Canada), punisce i clienti e non le prostitute. L’unico modo, secondo lei, di diminuire la domanda e quindi di arginare e abbattere il fenomeno. Lo sostiene ricordando la sua stessa esperienza e la Legge contro la violenza sessuale del 1993. Che invece le ha cambiato la vita in peggio: la normativa criminalizzò l’adescamento e cioè, come scrive, «solo una delle due parti in causa nella prostituzione: le passeggiatrici. Colpiva le prostitute di strada e soltanto loro. Questo ebbe l’ovvia (e penso voluta) conseguenza di condurre la prostituzione nei luoghi chiusi». Per combattere e sradicare il fenomeno, però, colpire la domanda (anziché l’offerta) non basta. Secondo Moran la cosa più importante da fare nella lotta contro la prostituzione «è nominarla. E quindi educare i giovani, sia i maschi che le femmine, a capire cos’è e a riconoscerla senza banalizzarla: è un fenomeno di oppressione e devono esserne ben consapevoli». Poi, più in generale, occorre trovare promuovere politiche che smantellino «gli stereotipi di genere, a cominciare da quello per cui è normale che un uomo domini una donna». Che si tratti di un pappone, di uno schiavo, ma anche di un ragazzo che dopo nemmeno una settimana di relazione ti propone di accompagnarti sul marciapiede.

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Noi vendute per sesso dalla Nigeria all’Italia – L’espresso

Quando era sul gommone che l’avrebbe portata in Italia, Blessing pensava a un’antica fiaba che le aveva raccontato sua  nonna materna qualche anno prima: una divinità del mare che aveva il potere di inghiottire per sempre le anime oppure salvarle. Blessing pensava a questo guardando il mare, appena partita da Zawhia, in Libia. La notte prima un uomo l’aveva svegliata con un calcio mentre dormiva a terra sul cemento di uno dei tanti magazzini nascosti della costa occidentale del Paese, dove i migranti aspettano il proprio turno di partire e le aveva detto che il tempo era buono, il mare era calmo, ed era finalmente arrivato il momento di raggiungere l’Europa.

Il mare di Zawhia era un mostro color antracite, grande più della sua immaginazione, dell’immaginazione di una ragazzina di sedici anni che ha lasciato il suo Paese, da sola per costruire un futuro decente. Blessing sentiva il rumore delle onde nel gommone, le vedeva alzarsi di fronte a sé, schiacciata tra decine di altri uomini, donne e bambini, malati, affamati, disperati come lei.

L’acqua era un muro altissimo e rumoroso, ma Blessing non aveva paura. «Dall’altra parte del mare, al di là della divinità che uccide o perdona, c’è l’Italia», pensava. Pensava ci fosse un lavoro ad attenderla, un futuro possibile.
Invece ad aspettarla c’era la strada. Gli abusi. La prostituzione.

Blessing è nata in Nigeria nel 2001, in un villaggio dell’Imo State, una delle zone più povere del paese. Quando suo padre è morto, lei e i suoi sette tra fratelli e sorelle hanno smesso di andare a scuola perché in casa nessuno portava più soldi. Qualcuno di loro ha cominciato a vendere acqua e pane ai bordi delle strade, qualcun altro a mendicare. Suo fratello più grande lavorava come aiuto meccanico per provvedere alla madre. Blessing, invece ,avrebbe solo voluto andare a scuola. Lo scorso anno una donna l’ha avvicinata, nel mercato del suo villaggio. «So che la tua famiglia ha bisogno di aiuto, che vi servono soldi», le ha detto. «Mia sorella vive in Europa e può aiutarti, c’è tanto bisogno di ragazze disposte a lavorare, fidati di me».

Maryam, 17 anni, arrivata da Benin City due anni fa

Blessing era confusa ed entusiasta. Quella donna aveva parlato anche con una sua amica, Gift, quindicenne: le aveva detto che in Europa molte famiglie avevano bisogno di cuoche ed entrambe le ragazzine amavano cucinare. Quella donna le aveva detto di non dire niente alla sua famiglia, perché avrebbero cercato di farla desistere a causa del viaggio, lungo e faticoso. «Quella donna ha detto a me e Gift di seguire un suo amico, che ci avrebbe accompagnato e protetto nel viaggio dalla Nigeria alla Libia. E così, una notte abbiamo preso uno zaino e siamo partite».

L’uomo che ha scortato Blessing e Gift è uno dei “connection men”, figura chiave della tratta: sono gli emissari delle organizzazioni criminali che prendono in carico le nigeriane, minorenni, fino al loro arrivo in Libia, spesso fino all’arrivo in Italia. Garantiscono loro il viaggio gratis, e istruiscono le ragazze nei minimi dettagli, dicendo di dichiarare – una volta in Italia – di essere maggiorenni, per evitare di finire nei centri protetti. Danno loro un numero di telefono da chiamare una volta arrivate nel centro. Il numero è dell’ultimo anello della catena, quello che le porterà fisicamente dalla “madam”, la nigeriana adulta che le costringerà, ricattandole, alla strada.

«Quando sono arrivata dalla mia “madam”, Friday, la prima cosa che mi ha detto è stata che avrei dovuto cominciare a lavorare subito per ripagare il debito del viaggio e solo in quel momento ho scoperto che il debito era di 40 mila euro. Ero spaventata, ma pronta a lavorare dal giorno successivo. Invece la “madam” mi ha dato una busta, dentro c’erano dei pantaloni cortissimi e un reggiseno. E mi ha detto: questo è il tuo lavoro. Vai in strada dalle nove di sera e torni la mattina dopo portandomi i soldi. Mi devi ripagare anche gli abiti che ti ho comprato e l’affitto del letto dove ti farò dormire.». Blessing non ha capito quale fosse il suo destino, finché la “madam” non l’ha schiaffeggiata, dicendole che da quel momento lei sarebbe diventata una prostituta. Così Blessing, a sedici anni, si è ritrovata seminuda, in una strada a ridosso di un ponte, nella provincia di Savona. «Non riuscivo a essere arrabbiata, ero solo piena di vergogna. Ero mezza nuda, in strada, sola, e avevo paura. La prima notte mi sono nascosta dietro i cespugli e piangevo. Piangevo, volevo solo chiamare la mia mamma e andare via, tornare a casa. Non volevo che nessun uomo mi vedesse». Invece Blessing è stata picchiata e costretta a vendersi. Ha perso la sua innocenza e la sua verginità tra i cespugli e il cemento di un ponte in disuso. «A volte non passava nessuno, e io ringraziavo Dio. A volte c’erano anche sei uomini in una giornata. Molti di loro erano anziani. Io non sapevo l’italiano, la “madam” mi aveva solo insegnato a dire «venti euro» e «trenta euro» in base a quello che quegli uomini mi chiedevano. Così facevo quello che volevano, poi porgevo loro la mano per chiedere i soldi e tornavo in strada».

Blessing ha venduto il suo corpo per tre mesi, ogni giorno sotto quel ponte, fino a che Princess, nigeriana anche lei, anche lei vittima di tratta tanti anni fa e oggi operatrice di una unità di strada, l’ha avvicinata in strada dicendole solo: «So cosa stai vivendo, perché l’ho vissuto anche io». E così – guadagnando la sua fiducia – l’ha salvata.

Alberto Mossino, fondatore insieme a Princess di Piam Onlus, una ong piemontese che si occupa di assistere ragazze vittime di tratta, sostiene che l’aumento delle ragazzine nigeriane è indicativo del potere crescente dei trafficanti di donne e della fitta rete di interessi e connivenze tra la Nigeria, la Libia e l’Italia. Le inchieste della magistratura e le operazioni delle forze dell’ordine lo confermano: ultima, quella che il 7 giugno scorso ha sgominato una banda organizzata di trafficanti a Cagliari, Pescara, Perugia, Pistoia e Reggio Calabria. «Negli ultimi due anni», dice Mossino, «ci siamo resi conto che molte ragazzine raggiungono l’Europa in un lasso di tempo relativamente breve, spesso raccontano di un viaggio durato un mese, un mese e mezzo per arrivare sulle coste italiane dal più profondo villaggio della Nigeria. Questo dimostra che la mafia che controlla il traffico di bambine e ragazze ha mezzi e potere per corrompere le tribù e le milizie che incontra lungo il viaggio, per corrompere tutti quelli che controllano frontiere e confini. Il giro di denaro che ruota intorno a queste bambine è inimmaginabile. E i trafficanti sanno di poter sfruttare da un lato la povertà nigeriana e dall’altro il vuoto di potere libico».

Il numero delle donne nigeriane arrivate in Italia dalla Libia è quasi raddoppiato lo scorso anno. Secondo l’Iom (International Organisation for Migration) l’80 per cento delle 11.009 donne nigeriane registrate lo scorso anno in Italia è vittima di tratta. Nel 2015 erano 5.600. Nel 2014 1,450. L’Iom stima che il 71 per cento delle persone che intraprendono la rotta per il Mediterraneo, durante il viaggio, diventi vittima di tratta.

«Quello che le nostre indagini dimostrano», dice Simona Moscarelli, esperta di anti-tratta dell’Iom, «è che le reti di traffico di esseri umani stiano diventando brutali ed efficienti a valorizzare e trarre profitto dalla vulnerabilità dei migranti».

Anche Happiness è una di loro. Anche lei ha sedici anni, e viene da Benin City. Per lei lo stesso viaggio, uguale a quello di tutte le altre ragazze: Auchi, Agadez, Sabha, poi la Libia. «Mia sorella mi aveva fatto parlare con una donna in Germania che mi aveva promesso un posto come parrucchiera nel suo negozio», racconta la ragazza. Ma il giorno della partenza Happiness ha visto parlare sua sorella maggiore con l’uomo che l’avrebbe accompagnata in Libia. Ricorda il loro tono, teso. Ricorda di esserne stata spaventata. Happiness e il suo “connection man” hanno impiegato quasi una settimana per raggiungere Sabha, nel sud della Libia. Lui guidava un minivan che, insieme a lei, trasportava altre sette ragazzine, anche loro minorenni. Happiness era stanca. «Voglio tornare a casa», gli ha detto durante il viaggio. «Impossibile. Tua sorella ti ha venduta, ora imparerai a lavorare qui in Libia».

Happiness, 16 anni, viene da Benin City attirata dal miraggio di un lavoro come parrucchiera

Così è cominciato l’inferno di Happiness, costretta a quindici anni a prostituirsi in una “connection house” alla periferia di Tripoli. «Quando sono arrivata c’erano circa venti, trenta ragazze. Una donna più adulta – avrà avuto trentacinque anni – ci ha spiegato che lì avremmo dovuto fare pratica prima di arrivare in Italia. Che avremmo dovuto imparare a lavorare».

Happiness ha dormito su un materasso buttato a terra per mesi, senza mai poter uscire da quella casa. Abusata ogni giorno, talvolta stuprata da gruppi di uomini. Nessuno di loro le ha mai dato dei soldi. Il corpo venduto di Happiness nella connection house era il prezzo da pagare alla mafia libica, coinvolta nel traffico di migliaia di ragazzine. «C’erano vermi dappertutto, non c’era acqua pulita, pian piano ho cominciato ad avere piaghe sul corpo e non sapevo come curarmi e quegli uomini continuavano a venire ogni giorno, a violentarmi ogni giorno». Di quelle piaghe Happiness porta ancora i segni sulle braccia e sulle mani, che muove nervosamente mentre mette in fila i ricordi. Quando nella connection house di Tripoli sono arrivate altre ragazze dalla Nigeria,
Happiness è stata accompagnata a Garabulli, in attesa del gommone che l’avrebbe portata in Italia. Anche qui, ad attenderla, ci sarebbero state prostituzione e violenza. Ma una volta in Sicilia, Happiness ha strappato il foglio con il numero di telefono che avrebbe dovuto chiamare per raggiungere la sua “madam” e ha chiesto aiuto. Oggi vive in una casa protetta della bassa padana, ha colorato i suoi capelli raccogliendoli in larghe trecce. Talvolta pensa alla sua famiglia, e piange. «La sola volta che ho provato a telefonare a mia sorella, per dirle cosa avevo subito, mi ha urlato contro che dovevo fare come mi dicevano, altrimenti le avrebbero chiesto indietro i soldi.». Happiness non ha più telefonato.

Oggi divide la stanza con Maryam, appena diciassettenne, anche lei è arrivata da Benin City, due anni fa. Ha ancora le sembianze di bambina, il pudore di una ragazzina innocente. Come le altre ragazzine, anche Maryam è scappata dalla povertà, dalla mancanza di istruzione, dall’assenza di prospettive. «Talvolta a Benin City arrivavano donne nigeriane», dice. «Tornavano dalle loro case in Europa, bellissime, piene di soldi, e compravano case per i loro familiari. Queste donne sono l’invidia dei villaggi, quando arrivano raccontando della vita qui, in Europa, molte famiglie spingono le proprie figlie a partire, anche se sanno che il viaggio è pericoloso. Anche mia madre mi ha spinto a partire dopo aver parlato con una madam: mi ha detto vai Maryam, lavora e torna come queste donne, con tanti soldi e aiutaci a vivere meglio».

La sera prima di partire la “madam” nigeriana ha sottoposto Maryam e altre bambine a un antico rito vodoo, il ju-ju: «Diceva che avrebbe protetto noi ragazzine dagli spiriti del male. Ci hanno tolto una ciocca di capelli, dei peli dal pube e un pezzo di unghia. E ci hanno solo ripetuto: se non onorerete i vostri debiti, morirete». L’uomo che l’ha portata in Italia l’ha protetta per tutto il viaggio, le diceva che doveva arrivare in ottime condizioni, che la stava aspettando un uomo molto importante che l’avrebbe fatta lavorare.

L’uomo che la aspettava in Italia era in contatto con la “madam” e aveva pagato la sua verginità.
Sono sempre di più i minori non accompagnati che finiscono in strada, secondo l’Iom, che lancia un allarme sull’età sempre più bassa delle ragazzine costrette a prostituirsi, e anche per gli operatori delle unità di strada della Comunità Giovanni XIII, secondo cui metà delle ragazze soccorse negli ultimi mesi sono minorenni. Maryam ricorda che quando la madre l’ha salutata sulla porta di casa a Benin City le ha detto: «Il corpo è un luogo sacro». Oggi Maryam non riesce più a guardarsi allo specchio.

© Riproduzione riservata 11 settembre 2017

 

UNA LEGGE CONTRO IL CLIENTI – TVQUI.IT

PROSTITUZIONE, UNA LEGGE CONTRO I CLIENTI

Colpire la domanda di prostituzione, più che le donne che sono spesso vittime, con una legge nazionale. E’ quanto emerso dal convegno organizzato dalla comunità Papa Giovanni 23°

http://www.tvqui.it/video/home/147737/prostituzione-una-legge-contro-i-clienti.html

Convegno a Modena, «Piaga prostituzione, clienti da sanzionare” – GAZZETTA DI MODENA

L’associazione Papa Giovanni XXIII contro lo sfruttamento in un convegno a Modena. «Ogni sera in città 70 lucciole, tutte vittime della tratta»di Eleonora Degoli

MODENA. Sono adolescenti, sempre più giovani, vengono soprattutto dalla Nigeria. Invece di andare verso un futuro migliore, le ragazze migranti cadono vittima dei trafficanti e vengono vendute in quella tratta che fa del corpo una merce. Solo a Modena sono circa 70 le donne presenti in strada, con un forte turn over: significa che il loro numero effettivo è molto più alto. Circa il 60-70 per cento della prostituzione nella nostra città è legato allo sfruttamento.

Sono i dati raccolti da Irene Ciambezi, scrittrice e operatrice dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Ieri a Palazzo Europa, un incontro con il parlamentare PD Edoardo Patriarca moderato dal giornalista Paolo Seghedoni ha avuto il fine di presentare il libro di Ciambezi, “Non siamo in vendita” e di affrontare il problema della tratta delle donne. «Pagine che non rasserenano, ma che mettono in moto, fanno venire voglia di agire»: queste le parole lasciate scritte dal Vescovo della diocesi di Modena Erio Castellucci, che non è potuto essere presente. Si è parlato di possibili soluzioni al problema dello sfruttamento delle donne, come la proposta di legge Bini, di cui Patriarca è firmatario. Si tratta di una proposta di modifica all’articolo 3 della Legge Merlin che andrebbe a colpire il cliente. Oltre alle storie delle ragazze sfruttate, Ciambezi ha fatto una ricerca proprio sul cliente che nutre l’ambiente della prostituzione.

«Quando c’è un rapporto commerciale – ha spiegato l’autrice – c’è chi paga la prestazione e questo implica due cose. Uno: tratta il corpo come merce. Due: al di là della posizione etica, acquistare prestazioni da una persona sfruttata significa far andare parte del provento, se non tutto, nelle mani dei trafficanti o delle mafie. Ciò che proponiamo è un cambiamento a livello legislativo che preveda la sanzione di chi acquista un corpo, ma non solo: un uomo non è l’errore che compie, ma l’errore si deve capire. Alla sanzione va quindi affiancato un socio-percorso riabilitativo del cliente». La questione di chi compra è problematizzata anche dalle richieste durante la prestazione. «Ci sono report nei reparti di malattie infettive – ha continuato Ciambezi – in cui gli uomini che hanno frequentato prostitute rientrano in una categoria a parte. Molti pagano per una prestazione senza protezioni. Questo mette a rischio la donna sfruttata, l’uomo stesso e la partner che lo sta aspettando a casa».

L’incontro si è svolto in occasione del Festival della Migrazione, ma l’autrice non si è fermata solo al problema dello sfruttamento dei migranti: «Il profilo del cliente non è diverso dagli offender online, – ha asserito – ovvero coloro che si mettono online per adescare le ragazzine. La prostituzione e la violenza di genere non sono fenomeni separati». Le migranti coinvolte nello sfruttamento sono in aumento. Don Oreste Benzi, il cui messaggio viene oggi portato avanti dall’associazione Papa Giovanni XXIII, nel 2003 insistette per parlare con il dittatore Gheddafi. Lo scopo era mettere un freno alla tratta di esseri umani che passava dalla Libia. «Dopo lo sbarco e l’arrivo nei centri di accoglienza, – ha affermato Patriarca – molte ragazze spariscono: vengono rapite per essere inserite nel business della prostituzione. Il progetto Bini non andrà avanti, perché finirà la legislatura. Spero però che le prossime legislazioni stabiliscano che comprare un corpo è reato».

Non più “una voce nel deserto” – Interris.it

È di fondamentale importanza la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha confermato il riconoscimento della Comunità Papa Giovanni XXIII come parte civile lesa in un processo per tratta di esseri umani. Si tratta di una conferma delle sentenze di condanna dei due gradi precedenti, come stabilito dalla Corte di Assise di Frosinone.

L’importanza risiede nel fatto che da oggi nel nostro ordinamento viene riconosciuta una comunità o un’associazione come parte lesa. Un evento che testimonia che siamo in uno stato di diritto, nel quale un gruppo di cittadini può schierarsi fattivamente dalla parte dei più poveri, degli sfruttati, degli schiavizzati e dar loro voce. Non più una “voce nel deserto”, dunque, ma una voce che viene recepita dalle istituzioni e diventa norma.

Ritengo incoraggiante che questa sentenza della Suprema Corte arrivi proprio in un momento in cui si sta diffondendo a macchia d’olio la nostra campagna Questo è il mio Corpo. Proprio ieri il progetto è stato rilanciato nel corso del Convegno Cisl di Brescia, durante il quale è stato particolarmente toccante ed efficace l’intervento di don Aldo Buonaiuto.

La Cisl, fin dal suo Congresso Confederale del giugno scorso, ha deciso di sposare l’iniziativa e la risposta è stata molto forte. Ma anche altre associazioni, laiche e cattoliche, stanno prendendo coscienza del dramma della tratta e della necessità di stroncare questo turpe fenomeno proponendo ai loro aderenti di firmare la nostra petizione.

Questo diffuso sostegno alla campagna e la sentenza della Corte di Cassazione rappresentano un implicito riconoscimento alla battaglia che ha combattuto il nostro fondatore, don Oreste Benzi, a partire dal 1990. Tra poche settimane ricorderemo i dieci anni della sua scomparsa.

Ciò che lui predicava nelle strade, oggi si sta avverando. Per rendere onore ai fatti, intendo rivolgere un pensiero a tutti i ragazzi della Apg23 che sono impegnati nelle strade per liberare le ragazze schiavizzate, poi alla squadra di legali che le difendono a livello giuridico: oggi ricordo l’avv. Annalisa Chiodoni, che ha seguito questo sentenza.

Il nostro lavoro sta producendo frutti. Possiamo dire che stiamo incidendo a favore di queste ragazze a livello culturale, sociale e ora anche normativo. Stiamo scardinando le stanze dei bottoni nel quale aleggia l’idea errata per cui la ragazza prostituita non è vittima bensì la persona da condannare.

Ci aspettiamo ora, che la politica recepisca il messaggio. Accogliamo con favore l’ordinanza del sindaco di Firenze, Dario Nardella, sperando che sempre più colleghi possano seguire il suo esempio. È opportuno che il modello nordico si faccia strada anche in Parlamento. E sottolineo che puntare sulla deterrenza non vuole essere una condanna verso i clienti, bensì un modo per aiutare anche loro.

Il comune di Firenze chiede al governo l’adozione del modello nordico – 25.09.2017

Il comune di Firenze approva la risoluzione che chiede al parlamento di legiferare secondo il modello nordico.
25/09/2017
Multe ai clienti. Approvata risoluzione PD “Per liberare dalla schiavitù della prostituzione”
Il Consiglio comunale ha approvato, con 17 voti a favore, 3 contrari, 3 non voto e 2 astensioni, la risoluzione “Per liberare dalla schiavitù della prostituzione” presentato dalla presidente della Commissione Pari Opportunità Serena Perini e sottoscritta anche dai consiglieri PD Nicola Armentano, Luca Milani, Francesca Nannelli e Massimo Fratini.

La risoluzione prende atto che il traffico di esseri umani è la terza industria illegale al mondo per fatturato. I dati più aggiornati mostrano la costante crescita, secondo alcune fonti è seconda solo al traffico di armi. Le vittime sono soprattutto donne e bambini, trattati come merce, utilizzati come manodopera o sfruttati sessualmente. Nel mondo il numero delle persone vittime di tratta è 21 milioni, il 49% donne e il 33% minori. Il 53% delle vittime è trafficato a scopo sessuale. L’80% di donne costrette a prostituirsi denuncia violenza fisica, il 60% stupro.
“La tratta di esseri umani e lo sfruttamento sessuale – spiega la consigliera Pd Serena Perini, presidente della Commissione Pari Opportunità – hanno come cause profonde la diseguaglianza tra uomini e donne e la povertà, aggravate dalle disparità etniche e da altre ingiustizie come i conflitti armati. Le vittime appartengono alle categorie vulnerabili, in condizioni sociali e economiche sfavorevoli. Inevitabilmente la prostituzione è sempre abusante, è sempre una forma di violenza.
Gli stati membri dell’Unione Europea hanno avuto approcci differenti sulla gestione della prostituzione e del suo mercato. Alcuni paesi, per combattere efficacemente la tratta degli esseri umani, lo sfruttamento e le ingiustizie che ne derivano, hanno adottato un sistema in cui illegale e viene punito il cliente in quanto rappresenta la domanda di un mercato aberrante. E’ il cd “Modello nordico”, adottato in Svezia dal 1999 e successivamente in Islanda, dal gennaio 2009 anche in Norvegia e da aprile 2015 in Francia. In Italia – prosegue la presidente Perini – si stima che siano tra le 75.000 e 120.000 le vittime della prostituzione. Il 65% è in strada, il 37%, è minorenne, tra i 13 e i 17 anni. Provengono da Nigeria (36%), Romania (22%), Albania (10,5%), Bulgaria (9%), Moldavia (7%), le restanti da Ucraina Cina e altri paesi dell’Est. In Italia la prostituzione è legale e non regolamentata. Gli italiani, quasi tutti adulti, che comprano sesso sulle strade sono tra i 2,5 e i 9 milioni. Proprio perché la prostituzione ha alla base la diseguaglianza di genere, aggravata da povertà, ignoranza, disparità etniche, conflitti armati, le vittime sono deboli, vulnerabili, gli anelli fragili della società, non si può certo affermare che chi va con le prostitute stia esercitando una libertà. E’ una “libertà” nei confronti di una persona che non è libera e non ha scelta: soggetti privati dei documenti, sradicati dal loro paese, non in grado di difendersi e di reagire; donne vendute, costrette con la forza o ‘esportate’ con l’inganno. Un atto che nasce da una catena di sopraffazioni non può essere un esercizio di libertà. Il cliente con la sua domanda di prestazioni sessuali a pagamento è un motore dello sfruttamento e all’offesa della dignità della donna ridotta a merce. I numeri attestano che il “modello nordico” è un sistema efficace, che ha esercitato un enorme deterrente sulla tratta ai fini di sfruttamento sessuale. In Svezia il numero di persone che si prostituiscono è diminuito del 65% in seguito all’applicazione della legge, in Norvegia del 60%. La legge ha anche modificato l’opinione pubblica in brevissimo tempo: prima era a favore della criminalizzazione del cliente il 30% della popolazione, oggi il 70%. Considerando colpevole il cliente si calcola che in Italia verrebbe liberato l’80% delle attuali schiave. Con la nostra risoluzione – conclude la presidente Serena Perini – sollecitiamo il Parlamento affinché una nuova legislazione in materia preveda: di adottare il cosiddetto “modello nordico” – vigente in Svezia, Norvegia, Islanda e Francia – che punisce la condotta di chi acquista servizi sessuali, affinché non si faccia della vita umana un mercato; di incentivare e promuovere campagne, in collaborazione con le associazioni che operano sul territorio, che aumentino la consapevolezza del ruolo che ha la società civile nel combattere la domanda, come una causa profonda della tratta di esseri umani, e il danno sociale che la prostituzione porta e invita la presidenza del Consiglio a trasmettere il presente atto ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, sollecitando l’approvazione delle proposte di legge già presentate in Parlamento che vanno in queste direzioni”. (s.spa.)

Il reportage. Le schiave bambine di Firenze. Funzionano i divieti anti-tratta. AVVENIRE

Pochi «clienti» sfidano il provvedimento del sindaco Nardella. Da Scandicci a Prato, anche i Comuni limitrofi si muovono.

 

Le bamboline minorenni barcollano sul tacco 12. Strizzate in abitini di poche spanne, fasciate in calze autoreggenti scure, le riconosci non solo dall’espressione. Ma perché sono tra le poche, sotto ai lampioni, ad attendere l’orco automunito. Le altre, le «donne grandi», hanno la patente e aspettano dentro alle Smart grigio-azzurre messe a disposizione dall’organizzazione. A poca distanza, nascosto dal caseggiato, c’è il parco delle Cascine, ritrovo abituale di minorenni maschi in attesa di vegliardi imbottiti di viagra e denaro contante. Dicono sia periferia. Ma succede quasi in centro, sotto al palazzo del Tribunale, nel quartiere di Novoli, lungo i tre chilometri di palazzi e strade ben illuminate che separano le serate inconfessabili dai candidi marmi di Santa Maria Novella. Barbie, la biondina venuta dal freddo Est, assicura di avere 23 anni. L’ha chiamata così un cliente, uno dei primi a pattuire con lei «mezz’ora di giochi».

Era lo scorso giugno. Lo ha rivisto altre volte. Dice che è gentile, lui le parla delle sue figlie e della loro collezione di Barbie, perciò senza alcun pudore l’ha chiamata così. La paga bene e a Barbie questo vezzeggiativo piace, perché «di sera tutti vogliono Barbie e le altre ragazze sono invidiose». Ma poi all’indovinello su «quanti anni hai veramente?», smette di sorridere solo quando per due volte dici cincisprezece. Forse perché le ricorda la sua terra, la Romania. Oppure perché cincisprezece sta per quindici, gli anni della sua perduta adolescenza. Lo ‘sbirro’ che draga la zona, ne conosce i peccati e i peccatori. Dice che quello del sindaco Nardella «non è un provvedimento antiprostituzione». Qualcosa di più: «La considero un’ordinanza antistupro». E ha ragione: «Codesti clienti – dice da fiorentino sincero e da padre arrabbiato davanti alle tante Barbie di Novoli – non sono dei bischeri come dicon loro, son stupratori. Sicché te lo sai che codeste son bambine e non cambia niente se per portarle a letto non devi pigliarle a ceffoni».

Le altre, le maggiorenni, invece si riparano dal freddo dentro alle auto con le frecce sempre accese, il segnale convenuto con i clienti delle notti sbagliate fiorentine. Solo che adesso nelle utilitarie che di notte transitano a passo d’uomo ci sono anche vigili in borghese a caccia di clienti. Una volta scoperti, tremano di vergogna e perché temono che si venga a sapere. Con l’ordinanza firmata dal sindaco Dario Nardella si istituisce il divieto di chiedere o accettare prestazioni sessuali a pagamento. Non è necessario aspettare la consumazione dell’atto, come vorrebbero certe altre norme che costringerebbero gli agenti a trasformarsi in guardoni, basta un cenno d’intesa con le ragazze perché scatti la sanzione e la denuncia. In meno di una settimana sono stati pizzicati in due. Ma i numeri, in questa guerra tra dignità e brutalità travestita da prestazione remunerata, contano poco. Conta il messaggio. E in queste sere i clienti scarseggiano. «Forse ci faranno spostare in qualche altra strada», dice Barbie preoccupata perché «loro», i magnaccia che prosperano su donne e spaccio, potrebbero vederla perder tempo a chiacchierare. Fino a quando sullo smartphone le arriva un messaggio: «Il capo dice che stanno arrivando due amici».

È anche per salvaguardare le più fragili tra le sfruttate che Serena Perini (Pd) ha spinto sull’acceleratore perché si approvasse l’ordinanza antitratta. Con un passato da medico in Rwanda e un presente da membro dell’équipe nazionale antitratta dell’associazione Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, Perini guida la commissione consiliare ‘Pace, diritti umani, solidarietà, immigrazione e pari opportunità’. Riconosce che «questa iniziativa da sola non basta a sconfiggere lo sfruttamento delle donne, ma già altri Comuni vicini si stanno adoperando per varare analoghe ordinanze», così gli sfruttatori non avranno gioco facile traslocando poco più in là. Come a Prato, dove il sindaco Biffoni ha annunciato un giro di vite, e poi Scandicci, Sesto Fiorentino e via via in tutta la cintura. Soprattutto il dibattito scaturito dopo l’adozione delle nuove misure «sta permettendoci di far conoscere cosa davvero è la prostituzione – aggiunge Perini –, perché intorno a questo fenomeno c’è molta ignoranza e sono ancora troppo pochi a conoscere e comprendere cosa ci sia dietro a una ragazzina gettata in strada». Stanotte piove, il freddo comincia a pungere, ma le Barbie devono restare sotto ai lampioni, per mostrarsi meglio.

Poco lontano, nel buio del Parco delle Cascine, si guadagnano da vivere ragazzini stranieri, probabilmente fuggiti dalle comunità per minori non accompagnati. Andrea, transessuale che gioca con la declinazione ambivalente del suo vero nome, parla anche a nome di quelli che la gente di qui chiama ancora «travestiti». «I ragazzetti nordafricani ci stanno prosciugando la piazza, ma io non ce l’ho con loro, ce l’ho con i clienti, tutti italiani. Noi almeno siamo adulte, ma quelli son bambini», dice Andrea aspettando clienti che stasera tardano a farsi un giro. Solo nel 2016 un totale di 6.561 minori non accompagnati (dati Unicef) hanno fatto perdere le proprie tracce. Non di rado finiscono ad appartarsi come i ragazzini che aspettano vicino alle siepi del parco e non si lasciano avvicinare da chi non ha intenzione di pagarli. Alle tre del mattino Novoli è un deserto umido. Alcune Smart sono filate via. Barbie è tornata al suo posto, davanti al centro commerciale. Rimette a posto le calze. Non ha più molta voglia di parlare. Mancano due ore alla fine del ‘turno’. Poi, per tutto il giorno, Barbie smetterà di essere un balocco. Prima che torni sera.


DA SAPERE

Multa a casa e denuncia: cosa prevede l’ordinanza

Con l’ordinanza firmata dal sindaco Dario Nardella si istituisce il divieto di chiedere o accettare prestazioni sessuali a pagamento. Non è necessario aspettare la consumazione dell’atto: gli agenti della polizia municipale, sia in borghese che in divisa accerteranno se c’è stata una richiesta, un consenso o un accordo su una prestazione sessuale a pagamento. A questo punto scatta la denuncia per il cliente sulla base dell’articolo 650 del codice penale, per violazione di una ordinanza delle autorità. Non sono previste sanzioni per chi offre la prestazione, a meno che non ricorrano altre violazioni di legge. L’atto firmato dal sindaco, volto a sanzionare chi chiede o accetta prestazioni sessuali e a tutelare le persone che sono o possono essere oggetto di sfruttamento, è stato reso possibile dal decreto Minniti, convertito in legge lo scorso mese di aprile, che per la prima volta consente ai sindaci di emettere un’ordinanza contro coloro che ottengono prestazioni sessuali a pagamento. Sulla base del decreto, il sindaco ha quindi adottato un provvedimento mirato che punta alla riduzione del fenomeno. L’ordinanza è in vigore in tutta la città, e non solo lungo le strade in cui è stata rilevata la presenza di persone che esercitano la prostituzione, in modo da evitare che il fenomeno si sposti in altre zone di Firenze.

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Firenze. Arresto e multe per i clienti delle prostitute – 15.09.2017

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Un’ordinanza del sindaco di Firenze Nardella. Obiettivo? Tutelare la dignità delle donne divenute oggetto di sfruttamento. Le sanzioni riguarderanno soltanto i clienti.

Arresto fino a 3 mesi o multa fino a 206 euro: sono i provvedimenti che potranno scattare a Firenze a carico dei clienti delle prostitute stando all’ordinanza comunale firmata dal sindaco Dario Nardella.

Nel provvedimento urgente che entrerà in vigore dal 15 settembre si istituisce il divieto di chiedere o accettare prestazioni sessuali a pagamento. Non sarà quindi necessario aspettare la consumazione dell’atto: gli agenti della polizia municipale sia in borghese sia in divisa accerteranno se c’è stata una richiesta, un consenso o un accordo su una prestazione sessuale a pagamento. Da qui scatterà la denuncia per il cliente sulla base dell’articolo 650 del codice penale per violazione di una ordinanza delle autorità.

Non sono invece previste sanzioni per chi offre la prestazione, a meno che non ricorrano altre violazioni di legge.
Perché, si spiega nella nota del Comune di Firenze, “l’obiettivo dell’ordinanza è il contrasto dello sfruttamento della prostituzione, fenomeno presente in città come viene confermato da quanto emerso nei mesi scorsi in relazione a interventi delle forze di polizia e della magistratura”. L’atto, in sostanza, “è volto a sanzionare chi chiede o accetta prestazioni sessuali e a tutelare le persone che sono o possono essere oggetto di sfruttamento”, ed “è stato reso possibile dal decreto Minniti, convertito in legge lo scorso mese di aprile, che per la prima volta consente ai sindaci di emettere un’ordinanza contro coloro che ottengono prestazioni sessuali a pagamento”.

 

L’ordinanza, precisa il Comune, sarà in vigore in tutta la città di Firenze e non solo lungo le strade in cui è stata rilevata la presenza di persone che esercitano la prostituzione per evitare che il fenomeno semplicemente si “muova” in altre zone. “Grazie al nuovo decreto sulla sicurezza di Minniti, convertito in legge, le città hanno uno strumento concreto per contribuire alla lotta contro lo sfruttamento della prostituzione. La nostra società – ha spiegato il sindaco Nardella – non può rimanere cieca di fronte a un fenomeno così vasto che distrugge la dignità di migliaia di donne ridotte a oggetto spesso in stato di schiavitù e che consente un vergognoso arricchimento della malavita organizzata”. La speranza del sindaco è che “Firenze possa essere un buon esempio per tutto il Paese per una battaglia di civiltà prima ancora che di legalità”.